Venerdì primo ottobre o forse sabato due ottobre 1965, ore otto o nove.
Tutti stipati nell'ingresso del liceo scientifico Galileo Ferraris, più di duecento ragazzini aspettavano con ansia di sapere in quale sezione erano stati iscritti al loro primo anno di scuola superiore.
Io ero lì con i miei compagni di classe delle medie. Ero quasi sicuro che sarei andato con molti di loro nella sezione C, perché così le nostre mamme avevano chiesto alla segreteria della scuola.
La sezione C era una della sezioni che accoglieva i ragazzi che avevano studiato francese nelle medie e volevano passare alla lingua inglese.
Chiacchieravo con il mio amico delle medie Corrado Locati con cui in settembre ero andato nelle librerie del centro a cercare libri della mitica BUR, con la nascosta intenzione di trovare nei classici della letteratura qualche pagina che potesse essere complice dei nostri adolescenziali sogni alla scoperta del sessualità.
A casa sua Corrado mi aveva fatto sentire il primo long playing, comprato dal fratello maggiore, del cantautore allora quasi sconosciuto Fabrizio De André, in cui si affrontavano temi che non si sentivano certo alla radio.
Intanto un professore iniziò a fare l'appello, distribuendo gli alunni nelle loro classi.
Sezione C ...... Cavalla ..... Ferraris ....... Locati ... Martiny.
Mi diressi anche io con loro, convinto che avrebbero chiamato anche il mio cognome, ma niente.
Rimasi nell'ingresso del liceo, solo, anche se fra tanti ragazzini. L'appello continuava lento. Pensavo quasi che si fossero dimenticati di me (chi sa, una svista) quando, arrivati quasi alla fine dell'appello della sezione F , sentii "Nucera" e mi accodai alla fila dei nuovi compagni.
Ci avviammo verso una grigia aula del secondo piano , dove andai subito a sedermi il più lontano possibile in uno degli ultimi banchi.
Mi sentivo triste e spaesato , ma una nota positiva c'era: mentre la sezione C era rimasta rigorosamente maschile, nella classe c'era un buon numero di ragazze.
L'insegnante che ci guardava da dietro la cattedra era la professoressa Gugliotta di italiano, latino, storia e geografia.
Non mi ricordo bene quale fu il suo discorso introduttivo, ma sono quasi sicuro che sottolineò la serietà e la difficoltà degli studi che caratterizzavano il liceo Galileo Ferraris, invitando implicitamente chi non aveva una preparazione adeguata a prendere in considerazione l'ipotesi di cambiare scuola (cosa che in seguito fecero diversi compagni di classe)
Poi dettò la lista dei libri di testo, da cui compresi che avrei continuato lo studio del francese invece di iniziare quello dell'inglese. Ci saremmo rivisti il 5 ottobre e l'insegnante ci diede subito i compiti per casa: un tema su di uno dei libri letti durante le vacanze (non era neanche pensabile che un ragazzino intenzionato ad iscriversi al liceo non leggesse almeno un libro in estate) e una traduzione dal latino all'italiano che ci dettò velocemente.
Quando dissi a mia madre che ero stato iscritto ad una sezione in cui si continuava lo studio del francese, decise che sarebbe andata a parlare con il preside per farmi cambiare di sezione.
Io che sono timoroso e che sono avverso ad ogni cambiamento (anche la presenza delle ragazze non mi dispiaceva certo) non l'appoggiai nel suo proposito e così mia madre, che aveva solo frequentato la quinta elementare ed era un po' impaurita all'idea di confrontarsi con le autorità scolastiche, non trovò il coraggio di andare dal preside.
Rimasi nella sezione F. Chissà perché sono stato l'unico della mia classe delle medie cui non sia stato concesso di passare alla lingua inglese?
Ho due ipotesi. La prima è un po' cattiva, ma come diceva Andreotti "a pensar male si fa peccato ma ...." : non avevo certo raccomandazioni. La seconda è un po' più didattica.
Io ero un ragazzino molto studioso, la mia famiglia vedeva nella scuola l'unica via di uscita a una vita grama e mia mamma era calvinista senza saperlo.
"Prima il dovere, poi il piacere" mi ripeteva di continuo. Per lei (e anche per me purtroppo) un sette era un brutto voto.
All'esame di terza media ci fu un piccolo litigio con l'insegnante di matematica : non le piaceva il mio modo di scrivere la variabile "b" e il disegno che avevo fatto di un cono incluso in un cubo non soddisfaceva i suoi criteri estetici.
Presi "solo" otto di matematica all'esame e forse per questo l'insegnante di francese decise di darmi nove, anche se non mi aveva mai gratificato di un simile voto negli anni precedenti.
La commissione del Galfer che "faceva" le classi, forse avrà pensato che fosse più coerente farmi continuare a studiare una lingua in cui avevo raggiunto risultati talmente brillanti.
La mia famiglia pretendeva, senza nemmeno dirlo, voti alti e io purtroppo avevo pienamente interiorizzato l'importanza delle studio. Fui in forte difficoltà in quel primo anno, le richieste degli insegnanti erano decisamente elevate.
Lo studio continuo ed eccessivo mi impedì di curare l'armonioso sviluppo del corpo (da cui le spalle curve) e non favorì le relazioni con il gentil sesso.
La rabbia che negli ultimi anni di scuola mostravo verso la scuola è soprattutto figlia della sofferenza derivante da uno studio eccessivo, ma avrò occasione di riparlarne.
Piero:
Roberto era già allora molto serio per la sua età. Metodico, determinato, affrontava con ponderato impegno ogni aspetto dell'apprendere. Sapevi, nel porgli una domanda di aiuto, che nulla sarebbe stato affidato al caso e l'impegno nel rispondere, massimo. Non era sì, possiamo dirlo, persona di sereno e solare ingegno, nel senso che la sua intelligenza pareva svilupparsi da un "sofferto" studiare e non da un facile e istintivo padroneggiare il sapere, come invece era per Riccardo (Neri). Ci fu verso metà liceo un virare verso l'ideologia marxista e anche qui la cosa non fu presa con superficialità.
Riccardo (Neri):
Del primo giorno di scuola ho solo il ricordo del cambiamento di posto. Non mi rammento nulla dell'appello iniziale. So solo che in classe noi quattro che provenivamo dalla stessa scuola media (Efisio, Ezio, Piero e io, dalla Pascoli) ci eravamo messi nella fila di destra (guardando la cattedra), ai primi posti. La Gugliotta diede un'occhiata alla classe (35 allievi) e subito mi spostò, perché avevo la faccia del bravo ragazzo, mettendomi in terza fila e mandando la mio posto qualcun altro (che doveva apparirle "agitato"). Se ricordo bene dietro di me c'era Roberto. Forse davanti c'era Maurizio. A sinistra, oltre lo spazio di passaggio, la formazione compatta delle ragazze: 4 file di 4 banchi.